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Schede di patologia

Malattia di Parkinson e Parkinsonismi

 

EPIDEMIOLOGIA

La malattia di Parkinson (MP) è il secondo disordine neurodegenerativo, in termini di frequenza, dopo la malattia di Alzheimer. Nei paesi industrializzati ha un’incidenza di circa 12/100000 persone all’anno con una prevalenza, di circa 2 milioni di individui affetti. La malattia è leggermente più frequente nel sesso maschile rispetto al femminile (60% vs 40%).
Colpisce circa l’1% della popolazione con più di 60 anni e raggiunge il 4% tra i soggetti oltre gli 85 anni. Questo suggerisce che un fattore biologico età dipendente, eventualmente in associazione all’esposizione cumulativa ad un fattore ambientale, sia tra gli agenti determinanti.
Nonostante la prevalenza aumenti progressivamente con l’età, non sono rari i casi in cui la malattia si manifesta prima dei 50 anni e anche prima dei 40 anni (Parkinson giovanile).

PATOGENESI

I nuclei della base (nucleo caudato, putamen e globo pallido), un gruppo di strutture cerebrali innervate dal sistema dopaminergico, partecipano alla corretta esecuzione dei movimenti e sono le aree cerebrali più colpite nella MP. Questa si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente.
I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, in un'area chiamata Sostanza Nera (la perdita cellulare è di oltre il 60% all'esordio dei sintomi). Inoltre, nel corso della MP si osserva un progressivo accumulo di una proteina chiamata alfa‐sinucleina neicosiddetti corpi di Lewy. Inizialmente nel bulbo olfattivo, nel midollo allungato e nel tegmento pontino, con i pazienti ancora asintomatici. Col progredire della malattia, i corpi di Lewy si sviluppano nella Sostanza Nera e in altre aree del mesencefalo, nell'ultima fase, nella neocorteccia. Tuttavia, è dibattuto se i corpi di Lewy rappresentino o meno la causa diretta della morte cellulare che caratterizza la MP.
La causa precisa che porta alla MP non è nota ma si ritiene significativa una origine multifattoriale, genetica e ambientale

  • Mutazioni genetiche che determinano una MP sono: alfa‐sinucleina (PARK 1), parkina (PARK‐2), PINK1 (PARK‐6), DJ‐1 (PARK‐7), LRRK2 (PARK‐8); altre sono fattori di rischio come la mutazione per glucocerebrosidasi GBA. In generale la MP si esprime qui soprattutto in soggetti giovani. Circa il 20% dei pazienti presenta una storia familiare positiva per la malattia. Si stima che i familiari di persone affette da MP presentino, rispetto alla popolazione generale, un rischio di sviluppare la patologia lievemente superiore.
  • Fattori tossici, esposizione lavorativa: il rischio di malattia aumenta con l'esposizione a tossine quali alcuni pesticidi o idrocarburi‐solventi (per esempio la trielina) e in alcune professioni (come quella di saldatore) che espongono i lavoratori a metalli pesanti (ferro, zinco, rame). L'esposizione al fumo di sigaretta riduce probabilmente la comparsa di MP. Il fumo sembra essere cioè un fattore protettivo.

CLINICA

Clinicamente la MP si caratterizza per sintomi motori che vengono comunemente raggruppati nella cosiddetta triade parkinsoniana, tremore a riposo, rigidità plastica e bradi‐ipocinesia. Accanto a queste manifestazioni vanno considerate anche l’instabilità posturale e i disturbi della marcia, che più frequentemente interessano la fase avanzata di malattia. Per porre diagnosi clinica di malattia di Parkinson è necessario presentare bradicinesia e almeno uno degli altri due sintomi che definiscono la triade parkinsoniana. La presentazione tipica dei segni e dei sintomi appena descritti è asimmetrica, generalmente ben obiettivabile all’esame neurologico e ben descritta dal paziente durante la raccolta anamnestica.
Con il termine bradicinesia ci si riferisce alla lentezza del movimento, ovvero all’aumento del tempo di esecuzione del movimento stesso. Agli arti superiori, la bradicinesia si manifesta precocemente con una riduzione della manualità e della gestualità del paziente. I pazienti lamentano difficoltà nell'eseguire compiti semplici, nel portare a termine movimenti piccoli e precisi, come abbottonare vestiti, digitare, legare i lacci delle scarpe. Negli arti inferiori, la bradicinesia appare con un rallentamento della marcia e una riduzione dell’ampiezza del passo, i passi diventano più brevi e piccoli.
Comune è anche la perdita progressiva dei movimenti spontanei (pendolarismo degli arti durante la marcia) e della gestualità e viene a ridursi il linguaggio corporeo che normalmente accompagna il tono emotivo della comunicazione verbale (amimia, inespressività del volto) e la parola subisce cambiamenti significativi, come ipofonia, balbuzie con importanti difficoltà di comunicazione.
La rigidità muscolare può determinare limitazioni funzionali alle articolazioni con dolore associato (tipico è il “blocco” alla spalla).
Il tremore a riposo rappresenta spesso il motivo per cui un paziente richiede un consulto neurologico e nel 70% casi rappresenta effettivamente il sintomo iniziale della MP, sebbene sia assolutamente errato associare questa patologia al solo tremore. Il tremore parkinsoniano è solitamente unilaterale e compare alle estremità degli arti superiori e tende a manifestarsi a riposo o sotto stress emotivo e a scomparire durante l'azione e nel sonno. Per il suo aspetto macroscopico, esso appare simile all’azione del “contar monete”. Il tremore può colpire anche gli arti inferiori e le labbra. Le alterazioni della marcia compaiono piuttosto precocemente nel paziente parkinsoniano, soprattutto nel fenotipo acinetico‐rigido, rispetto al fenotipo prevalentemente tremorigeno.
La marcia è rallentata, a piccoli passi, con particolare difficoltà ad iniziare il movimento (il paziente spesso descrive la sensazione di avere i piedi incollati al suolo, “marcia magnetica”), tendenza alla scomposizione del dietrofront in piccoli passi ed esacerbazione al passaggio in spazi ristretti. In queste situazioni si assiste ad un alto rischio di cadute, rischio aumentato anche a causa della riduzione o completa assenza delle sincinesie degli arti superiori, con conseguente alterata meccanica del passo. Il freezing (o blocco della marcia) è uno dei sintomi più invalidanti della malattia, è tardivo e non è presente nella totalità dei soggetti.
Fase complicata
La fase complicata di malattia si identifica con la severità e con la durata di malattia; è definita dalla comparsa di sintomi legati a modificazioni nella risposta al trattamento con levodopa e dall'associarsi di più sintomi non motori invalidanti. Fluttuazioni motorie di fine dose tipo “wearing‐off” (perdita di efficacia prima della somministrazione successiva) e discinesie fanno parte di queste complicanze. Il peggioramento dei sintomi motori è spesso preceduto o accompagnato da una sintomatologia non‐motoria di agitazione, ansia, disturbi sensoriali e dolore (OFF non motorio). Con il tempo, inoltre, possono comparire intensi OFF notturni, spesso disabilitanti, così come OFF improvvisi e imprevedibili nell’arco della giornata, caratterizzati, a seconda dei casi, da intenso tremore, rigidità e/o distonie dolorose. Le discinesie sono movimenti anomali, involontari.
Possono apparire in vari momenti: al picco dose, all'inizio e fine dose eventualmente accompagnate a distonie. La presenza delle fluttuazioni motorie caratterizza circa il 40% dei pazienti e il maggior rischio di sviluppare fluttuazioni motorie è stato attribuito ad una più giovane età di insorgenza, ad una maggiore severità di malattia e a dosi giornaliere di levodopa più elevate.
Accanto ai sintomi motori, ve ne sono di non motori (NMS, non motor symptoms), i quali sono più insidiosi rispetto ai primi e non meno disabilitanti e invalidanti, gravando negativamente sulla qualità di vita del paziente, soprattutto nella fase avanzata di malattia. I principali sintomi non motori possono essere classificati in disturbi psichiatrici (apatia, depressione, psicosi, sindrome da discontrollo degli impulsi),
cognitivi (demenza), disturbi del sonno (insonnia, parasonnie del sonno REM, in particolare RBD – REM sleep behavior disorders), alterazioni della sensibilità (ipo‐anosmia, ovvero difficoltà a percepire gli odori) e disturbi disautonomici (ipotensione ortostatica, stipsi, scialorrea, incontinenza urinaria, impotenza). La maggior parte di questi insorge in fase avanzata di malattia, tuttavia alcuni di essi compaiono precocemente o possono addirittura precedere di anni, se non decenni, l’esordio della sintomatologia motoria: in particolare, l’anosmia, la stipsi, la depressione e i disturbi comportamentali in sonno REM (RBD) sono reperti frequenti nelle indagini anamnestiche.

TERAPIA

La terapia della MP è sintomatica, e sostanzialmente sostitutiva della carenza di dopamina cerebrale. La levodopa, è il farmaco principale; una volta assorbita nel duodeno attraversa la barriera ematoencefalica e viene trasformata in dopamina nei neuroni della Sostanza Nera. La levodopa viene metabolizzata in periferia dalle dopa decarbossilasi e dalle catecol‐O‐metiltransferasi (COMT). Il blocco di questi enzimi aumenta la concentrazione di levodopa nel sangue e nel cervello e quindi la sua efficacia nel tempo. Le prime vengono inibite dalla carbidopa e dalla benserazide, già associate a levodopa nei farmaci in commercio. Tolcapone, entacapone e opicapone sono invece gli inibitori delle COMT. Un migliore assorbimento intestinale di levodopa si realizza evitando l’assunzione di proteine animali e vegetali a pranzo. I dopamino‐agonisti (DA agonisti) sono farmaci che mimano l’effetto della dopamina (DA) attraverso il legame diretto con il recettore post‐sinaptico della DA. I DA agonisti rappresentano un trattamento efficace per i disturbi motori in tutte le fasi della MP. L’uso dei DA agonisti richiede qualche attenzione: è opportuno informare del rischio di sonnolenza diurna, e in particolare i giovani pazienti, del rischio di compulsione al gioco e allo shopping, all’ipersessualità e all’ aumento dell’appetito (sindrome da discontrollo degli impulsi). Gli inibitori delle monoamino‐ossidasi B (IMAO‐B), selegilina, rasagilina e safinamide, che aggiunge alle prime due un’azione anti glutammatergica, bloccano il catabolismo della dopamina, aumentandone i livelli nello striato. Nella fase avanzata, quando la terapia farmacologica risulta inefficace per garantire al paziente una buona qualità di vita e quando le somministrazioni giornaliere di levodopa superano le 4‐5 dosi e le fasi OFF e le discinesie ON sono sempre più severe, l’infusione continua di un farmaco dopaminergico può rivelarsi un trattamento altamente efficace. Esistono due diversi tipi di terapia infusiva: la somministrazione intestinale di un gel di levodopa/carbidopa e l’infusione continua sottocutanea di apomorfina. La somministrazione intestinale di levodopa tramite PEG/PEJ come quella continua sottocutanea di apomorfina richiede di solito la partecipazione attiva di un “care‐giver”. La stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep Brain Stimulation) rappresenta una efficace e sicura opzione terapeutica per le fasi avanzate della MP. Da ultima risorsa terapeutica come era, si tende oggi a posizionare la DBS nelle fasi intermedie di malattia (early surgery) a fronte di risultati particolarmente positivi. Consiste nell’impianto di due elettrodi alimentati da una batteria, in specifiche strutture del cervello non colpite dalla neuro‐degenerazione, il nucleo subtalamico (STN) e il globo pallido interno (GPi). La scelta del nucleo dipende dalla severità delle fasi OFF e delle discinesie. Gli elettrodi stimolanti, modulano l’attività elettrica, con impulsi variabili per voltaggio (o amperaggio), frequenza e durata (neuromodulazione). Gli avanzamenti tecnologici e l’introduzione di elettrodi direzionali ha migliorato il rapporto tra benefici ed effetti collaterali (finestra terapeutica della DBS). Occorre comunque ricordare ai pazienti che sebbene la DBS sia una tecnica di neurochirurgia funzionale, eventi avversi severi come emorragie cerebrali, per quanto rari sono comunque possibili.
Per la DBS esistono criteri di inclusione ed esclusione, poiché l’efficacia clinica dipende da un accurato processo di selezione del paziente. Il candidato ideale è un paziente di età inferiore a 70 anni con una buona risposta alla levodopa, senza particolari problemi di deambulazione, equilibrio o articolazione della parola, e senza sintomi di decadimento cognitivo.
Una nuova metodica, l’“High Focus Ultrasound‐RMN guidata”, sfrutta gli ultrasuoni per lesioni cerebrali profonde di assoluta precisione. La tecnica ha dimostrato di essere sicura ed efficace sul tremore nelle lesioni talamiche unilaterali; il posizionamento di questa metodica in termini di sicurezza ed efficacia relativamente ai classici target STN e GPi, più utili quindi per la malattia di Parkinson richiede ancora tempo.

I Parkinsonismi Atipici

(PA) sono un gruppo di malattie neurodegenerative sporadiche, caratterizzatedall’associazione di segni parkinsoniani ad altri segni neurologici. Si caratterizzano per un’evoluzione clinica più rapida e per la scarsa o assente risposta alla terapia dopaminergica rispetto alla MP e determinano, di conseguenza una prognosi funzionale più invalidante. Le tre forme principali di PA sono rappresentate dall’atrofia multisistemica (MSA), dalla paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e dalla degenerazione corticobasale (CBD). Un neurologo esperto è in grado di individuare alcuni cruciali segni neurologici (in genere: disturbi della motilità oculare ed alterazioni frontali nella PSP, prominenti disturbi disautonomici e/o segni cerebellari e/o piramidali nella MSA, rigidità, mioclono ed aprassia unilaterali nella CBD e l’instabilità
posturale con tendenza alla caduta che si manifesta in tutte e tre le condizioni patologiche) che possono permettere la diagnosi differenziale con la MP già in una fase evolutiva precoce.


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