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Schede di patologia

Epilessia

La parola epilessia deriva dal verbo greco e′πιλαµβa′νειν (epilambanein) che significa “essere sopraffatti, colti di sorpresa”. L’epilessia è una malattia caratterizzata dalla persistente predisposizione dell’encefalo a generare crisi epilettiche. Quest’ultime sono manifestazioni cliniche molto variegate, che insorgono improvvisamente, hanno breve durata (da pochi secondi a ~2-3 minuti) e sono determinate da impulsi elettrici abnormi di uno o più gruppi di neuroni "ipereccitabili”.

 

Epidemiologia

L’epilessia è una tra le più frequenti patologie neurologiche, riconosciuta come malattia sociale dall’OMS. Essa può esordire a tutte le età della vita ma i maggiori picchi d’incidenza si hanno nei bambini e negli anziani. L’epilessia interessa circa 1 persona su 100: si stima che in Italia  ne siano affette 500.000-600.000 persone.

 

Patogenesi

Le cause dell’epilessia sono molteplici. Tra le più frequenti si ricordano le anomalie genetiche, i traumi cranici, gli ictus cerebrali, le encefaliti, i tumori cerebrali, le malattie infiammatorie. Ancora oggi, il 30% dell’epilessie ha una causa sconosciuta.

Le crisi epilettiche sono causate da un’alterata funzionalità dei neuroni. Per una delle suddette cause, i neuroni diventano “ipereccitabili” e determinano crisi epilettiche che hanno la tendenza a ripetersi (più o meno frequentemente) nel corso degli anni.

 

Sintomi

Dal punto di vista clinico, la crisi epilettiche si possono manifestare in maniera estremamente eterogenea in base alla sede di origina dell’eccessiva scarica neuronale. Le crisi epilettiche possono essere generalizzate, se hanno origine da tutti i neuroni dell’encefalo simultaneamente, o focali, se originano in una sede ben circoscritta dell’encefalo.

Le crisi generalizzate si associano quasi sempre a perdita di coscienza. L’esempio paradigmatico è rappresentato dalla crisi tonico-clonico generalizzata (detta anche crisi di “Grande Male”). Questa è caratterizzata da improvvisa perdita di coscienza, emissione di un urlo, caduta a terra, rigidità diffusa (fase tonica) quindi scosse (fase clonica) a tutto il corpo. La persona potrà mordersi la lingua o perdere le urine. Al termine della fase clonica, la persona è generalmente profondamente addormentata (fase post-critica), confusa e, a volte agitata, per un periodo variabile da qualche minuto a qualche ora. Altri tipi di crisi generalizzate, con manifestazioni cliniche meno eclatanti, sono le crisi di assenza (dette anche crisi di “piccolo male”), che si verificano tipicamente nei bambini in età scolare e si caratterizzano per fissità dello sguardo e interruzione dell’attività in corso.

Le crisi focali invece non sempre comportano la perdita di coscienza e si manifestano con sintomi diversi in base all’area cerebrale interessata dalla scarica. Ad esempio, una crisi che inizia nella corteccia occipitale (ove risiede l’area visiva) può comportare la percezione di flash o pallini colorati, mentre una crisi che origina nel lobo frontale (ove è presente l’area motoria) può comportare irrigidimento o scosse dell’emicorpo (volto, arto superiore e/o arto inferiore) controlaterale alla sede di origine della scarica. Le persone affette da crisi focali potranno talora avvertire l’esordio delle crisi e prendere adeguati provvedimenti (sedersi, avvertire gli astanti, etc..). Durante una crisi focale con disturbo di coscienza, il paziente potrebbe sembrare “sveglio” ma non essere in contatto con le altre persone e l’ambiente attorno a sé, non rispondere normalmente agli stimoli esterni e presentare comportamenti ripetitivi (soprattutto alla bocca e alle mani) chiamati “automatismi”.

Avere una crisi epilettica non significa necessariamente essere affetti da epilessia. Molte situazioni possono, infatti, determinare la comparsa di crisi epilettiche isolate, destinate a non ripetersi più spontaneamente (in assenza cioè di quella situazione che le ha generate): l’innalzamento della febbre nei bambini piccoli (fino a 5 anni: “convulsioni febbrili”), l’abuso o l’astinenza da alcool, l’uso di droghe, disturbi metabolici (ad esempio riduzione brusca dei livelli di glicemia, etc..).

La diagnosi di epilessia si basa sulla raccolta completa della storia clinica spesso con l’ausilio dei familiari o di chi ha assistito alle crisi. In seguito, si passa all’esecuzione dell’elettroencefalogramma (EEG) e di indagini quali TAC e/o risonanza magnetica. Altri accertamenti (esami genetici, PET, SPECT) vengono utilizzati in casi selezionati.

 

Terapia

La terapia dell’epilessia ha l’obiettivo di eliminare o ridurre le crisi e migliorare la qualità di vita delle persone. Il piano di terapia ottimale deve essere stilato a seguito di un’accurata diagnosi e alle caratteristiche della persona affetta (sesso, età, attività lavorativa, etc..).

Il primo approccio alla cura dell’epilessia è basato sull’uso di farmaci antiepilettici. Esistono in commercio oltre 20 farmaci per l’epilessia. Il 70% circa delle persone con epilessia diventa libero da crisi con la terapia farmacologica. Il rimanente 30% non risponde invece alla terapia ed è definito pertanto farmaco-resistente.

Il 15-20% di queste persone farmacoresistenti potrebbe giovarsi di un intervento neurochirurgico, con scomparsa delle crisi nella maggioranza dei casi. La terapia chirurgica consiste nella rimozione della regione del cervello da cui originano e si diffondono le crisi. La selezione dei pazienti candidati all’intervento deve avvenire in modo rigoroso e prevede la costituzione di una equipe multidisciplinare per l’analisi accurata dei dati neurofisiologici (monitoraggio prolungato di video-EEG di superficie, o di profondità con elettrodi intracerebrali, per la registrazione delle crisi), delle neuroimmagini (RMN, PET, ecc), dei test neuropsicologici e delle valutazioni psichiatriche. Alla fine di questo percorso diagnostico si bilancia l’eleggibilità del singolo paziente ad una determinata procedura chirurgica, considerando la causa dell’epilessia, la sede della zona epilettogena (regione del cervello da cui originano e si diffondono le crisi), le sue condizioni cognitive, psicologiche e psichiatriche.

Alcune persone con epilessia farmacoresistente non possono essere sottoposte ad intervento neurochirurgico poiché le crisi originano da molteplici aree nello stesso emisfero o nei due emisferi cerebrali, oppure perché le zone epilettogene coinvolgono aree che non possono essere asportate senza determinare gravi disabilità (es. aree del linguaggio, aree motorie, ecc), o ancora perché le condizioni psicologiche o psichiatriche lo controindicano. In queste situazioni, si può ricorrere a terapie “palliative” (es. stimolazione del nervo vago, dieta chetogenica) che hanno lo scopo di ridurre la frequenza e la gravità delle crisi (senza eliminarle del tutto) ed il numero o la quantità dei farmaci antiepilettici (limitandone quindi gli effetti collaterali), con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita.


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